Il carnevale a Tempio e nella Gallura in generale, ha origine antica.
Risalire al principio non è facile perché molte tradizioni sono completamente scomparse.
Di certo però la figura di Giorgio, mitico Re del Carnevale Tempiese, ci riporta ad epoca pre-romana, in quanto, come sostiene D. Turchi, lo spirito della terra che fruttifica, prima ancora della religione misterica, era chiamato GIORGI, e a questa divinità venivano offerti sacrifici nel corso di riti finalizzati ad ingraziarne i favori (Giorgi viene sacrificato per fecondare la terra).

A Tempio è sopravvissuto il nome del re divinizzato (Gjolgju) insieme ad alcuni toponimi che ad esso rimandano (come per esempio la collina di Santu Gjolgju).

Alla pressione delle stratificazioni culturali succedutesi nel corso dei secoli hanno resistito solo alcune locuzioni che rimandano a personaggi ormai scomparsi, come: «pari un traicoggju». Un’espressione che i più anziani traducono come riferimento a “persona rozzamente vestita che cammina in modo pesante”. Che questo sia il suo significato traslato non ci sono dubbi. Infatti nel Vocabolario Tempiese – Italiano del Gana, al termine Traicoggju toviamo: «secondo la credenza del popolino, è il rumore che fa uno spirito trascinando un cuoio di bue o di cavallo al quale sono attaccati paioli vecchi, padelle, ciarpami e catene, percorrendo con altri famelici compagni le vie del paese per la penitenza…».
“Lu Traicoggju”, quindi, come le vecchie maschere sarde, è una sintesi tra le figure animalesche e quelle demoniache.
Un personaggio della Gallura che, come il più celebre “mamuthone”, rappresentava nell’immaginario collettivo “l’uomo selvatico”, munito di uno strumento idoneo a produrre suoni inquietanti. Simile, quindi, alle altre maschere primordiali (mèrdules, bòes e thùrpos) che in altre zone della Sardegna hanno conservato maggiormente le caratteristiche originali.

Altra reminiscenza la possiamo trovare nel termine fuglietta, tuttora usato per indicare una persona irrequieta ed in perenne agitazione. Sempre secondo il Gana: «la fuglietta è uno spirito malvagio che per tormentare i vivi deve incarnarsi o “prendere la figura” di un animale».
Iniziando dall’Epifania fino alla sera della Pentolaccia dico cinquanta lire, ed è poco può spenderle ogni giovanotto chi balla dove si paga ci lascia mezzo scudo ogni sera… Da questi versi abbiamo la conferma che il carnevale, nel XVIII e XIX secolo, era una grande manifestazione che coinvolgeva tutta la popolazione e che comprendeva balli, canti, abbuffate e grandi spese per un periodo piuttosto lungo: da “Li tre Irrè” (l’Epifania), fino a “Carrascialoni” (la Pentolaccia).

Circa due mesi dunque, in corrispondenza col periodo in cui la terra è a riposo e i lavoratori possono “rilassarsi”, ballare, bere, mangiare e spendere (economia permettendo), fino alla ripresa delle attività. Questa consuetudine è rimasta invariata, l’Epifania sancisce l’inizio del carnevale, ma è soprattutto nella sei giorni conclusiva che si raggiunge l’apice, sia nel divertimento che nelle abbondanti libagioni.

di M. Achenza